Non so se ridere o piangere.
Non so se sto per infilarmi in qualcosa di complicato, difficile, intricato, o se sono sul punto di arrivare al bandolo della matassa e di mettere la parola FINE a tutta questa storia infinita.
Un anno fa (esattamente 12 mesi fa, erano giusti giusti questi stessi giorni del post-Salone del Mobile), è iniziato il mio amore-non-corrisposto-e-inutile.
Mi sono infilata in qualcosa più grande di me che nemmeno sapevo dove mi avrebbe portata.
L'unico posto certo era il suo letto.
Poi c'è stata l'umiliazione del sentirsi la tacca sullo stipite, la delusione e l'amarezza. Le lacrime e la rabbia. Sì, inespresse, se non sulle pagine di quel vecchio blog che raccoglieva come un lacrimatoio i miei tormenti e arrovellamenti mentali.
Poi ci si mette il destino e per il secondo weekend in cui abbandono la provincia per andare nella city, ecco che me lo ritrovo tra i piedi. Ancora. E ancora, e ancora e ancora.
E nel frattempo conosco un altro ragazzo interessante, ma non riesco a concentrarmi, perchè l'altro è nei paraggi e nonostante la mia ferma volontà, la sua presenza mi distrae.
Mi scappa da ridere di fronte alla caparbietà con cui continua ad adularmi.
Mi trovi bella, ok, e allora? Chissenefrega. Per me sei ridicolo.
Non voglio alcuna giustificazione nè spiegazione, di acqua sotto i ponti ne è passata così tanta ormai, vivo altrove, ora, e sono riuscita a interessarmi anche ad "altro". Non è più il momento dei chiarimenti. Eppure lui me li vuole dare, perchè non è come ho sempre creduto in questi 12 mesi. Perchè alla fine lui si è anche dato dell'idiota per i suoi comportamenti. Ma cosa me ne frega a me. Ormai.
Non so se ridere, davvero, mentre lui cerca di vanificare mesi interi di umore nero e bocconi amari da buttare giù.
Lo lascio parlare, poi gli dico che le parole non giustificano niente nè tantomeno verrà mai perdonato.
Poi il delirio.
Perchè appena lo vedo flirtare con una bionda sotto i miei occhi, il sangue mi sale alla testa e non capisco più niente.
Come melma, sale a galla tutto il livore represso, e invade la superficie, la rende torbida e mi fa perdere le staffe e il controllo.
Gli urlo di non toccarmi quando si avvicina, di corsa mi infilo dentro il primo taxi libero e scappo urlando odio e sputando veleno. Il tassista cerca di calmarmi, mi dice che non ne vale la pena.
Mi sento matta. Forse lo sono.
Sono le 5 di mattina, ho tante ore di sonno arretrato, sono distrutta dalla serata, ma nonostante questo non riesco a prendere sonno.
Decido di non stare zitta, questa volta. Non posso, non devo. Dormi con chi vuoi, stanotte, ma devi sapere che solo l'idea mi dà il voltastomaco, anche se della mia opinione, probabilmente, non te ne fregherà niente.
Non avendo più nessun recapito, ricorro a faccialibro. Santo i-phone, aiutami tu.
Sotto la coperta bianca e nera, scrivo poche righe, pesanti, pesantissime. Si tratta di poche parole, ma che sono in grado di raccontare un intero romanzo.
E poi mi addormento, finalmente placata, mentre una rosa, la sua, è stata ridotta in brandelli e buttata nella pattumiera pochi istanti prima, in un gesto d'ira lontano ormai, sconfitto dal sonno profondo in cui piombo.
Eppur si muove.
L'ho sconvolto. In un modo che forse non mi aspettavo nemmeno. Chiama qualcuno (che mi riferisce tutto) dicendo che fino a quella mattina, fino a quel messaggio, ha sempre pensato che A ME DI LUI NON FREGASSE NIENTE.
Che devo imparare ad esprimere i miei sentimenti. L'accusa che mi viene rivolta da una vita. Lui non ha nessun diritto di darmi lezioni di vita, ma qui ha colto sul vivo, queste parole mi attraversano i pori e mi scorrono nelle vene producendo piccoli brividi di dolore.
Non ho mai desiderato così tanto rientrare nella provincia quieta e accogliente.
Ma lui mi raggiunge anche qui, materializzandosi sotti forma di SMS. Chiede il permesso di chiamarmi.
Vorrei che non lo facesse mai. O forse che lo facesse subito.
Ormai non so più niente. Nell'attesa, un po' piango e un po' rido.