domenica 11 maggio 2014

Rhodri J. non si lavava i capelli da 6 mesi

Quando l'ho incontrato la prima volta, Rhodri J non si lavava i capelli da sei mesi. Si era convinto che ogni sostanza chimica contenuta in shampoo e affiliati fosse nociva per la sua cute e da allora ha pensato bene di detergere il cuoio capelluto solo con acqua e sale. Che se fosse stato italiano gli avrei cantato Mina e Celentano, ma lui è gallese e non avrebbe avuto alcun senso.
La differenza anagrafica tra di noi era così ampia da risultare ridicola. Ridicolo era poter pensare a qualcosa di più serio di qualche drinks insieme al pub della zona.

Rhodri J era un tipo che parlava poco. Se ne stava lì seduto infreddolito di fronte alla sua pinta di Amstel cercando di riscaldarsi alla meno peggio con il funghetto elettronico, aspettando che qualcuno premesse il pulsante per farlo ripartire ogni volta che si spegneva. Tutto quello che ha detto la prima volta che ci siamo incontrati era più o meno "sono un tipo molto tollerante, prendo le cose alla leggera, non mi faccio tanti problemi". E sembrava molto onesto quando lo ammetteva. Per il resto del tempo rimaneva in ascolto, senza interrompere, intervenendo nelle pause del mio stupido monologo con affermazioni mai banali, mai fuori dal contesto.
Mi chiede se la differenza d'età sia un problema. Gli rispondo di no (non abbiamo nessun progetto comunque io e te, scordatelo sbarbatello). 

Rhodri J era un tipo da scoprire. Uno di quelli che non si aprono subito, che si rivelano gradualmente, che non hanno la necessità ammorbante di sbatterti in faccia la loro esuberante personalità. Preferiva ascoltare, ma lo faceva con quello sguardo intelligente e curioso, affermando di tanto in tanto il proprio punto di vista in maniera educata ma assertiva.

Rhodri J non amava i posti troppo affollati, troppo rumorosi, troppo surriscaldati. Mi chiedevo -e gli chiedevo- come potesse sopravvivere a Londra, ma lui non rispondeva e mi trascinava via da quel ristorante chiassoso, da quel pub costipato di avventori su di giri, da quel locale che lui considerava  troppo impostato. 
Mi portava a vedere installazioni di arte contemporanea, a concerti di nicchia, mi mandava messaggi nei lunedì sera che mi scaldavano l'anima, mi raccontava dei mesi passati a Bali in cui aveva vissuto esperienze surreali, mi chiedeva se avessi pillole per dormire perchè le aveva lasciate a casa, e lui da quando si era trasferito a Londra non riusciva più a farne a meno.

Rhodri J mi chiedeva sempre, e dico sempre, se avessi avuto una buona giornata, se fossi entusiasta del nuovo lavoro e come mi trovassi con in nuovi colleghi. E non lo chiedeva per educazione,  ma era uno dei pochi in questa città che, dopo aver chiesto "come stai" si fermava ad ascoltare la risposta con spontaneo interesse.

Rhodri J lavorava in un ambiente stimolante, creativo, ma non era contento, perchè voleva fare di più, aveva progetti, idee e ambizioni che erano troppo ampi e troppo vasti per l'ambiente -come lo definiva lui- asservito al mondo della pubblicità e del vendere ad ogni costo. Una mattina mi ha mostrato alcuni dei suoi lavori  e in quel momento sono arrossita per il mio costante blaterare di cose superflue mentre lui ascoltava in silenzio. Mi sono chiesta perchè diavolo non me ne fossi rimasta zitta anch'io, perchè non gli avessi lasciato prima spazio per potersi esprimere. Volevo sapere tutto di Rhodri J, del suo mondo nascosto, di quello che celava dietro gli occhi blu, in quella testolina di capelli sporchi e arruffati, al di là di quell'espressione giovane e intelligente.

L'ultima volta che l'ho visto è stato dopo 2 settimane da un furibondo litigio in seguito alla scoperta, da parte mia, di non avere l'esclusiva nella sua vita. 
Ci siamo "scontrati" per caso per strada, lui a terra dopo che un buttafuori lo aveva appena trascinato via da un pub perchè l'aveva trovato in cucina con i cuochi. Mi guarda con gli occhi sbarrati, non se l'aspettava e non me l'aspettavo. Si alza, inizia a seguirmi per strada barcollando mentre io fingo di ignorarlo. Alcuni amici pensano che sia un ubriaco che mi sta disturbando e si avvicinano per allontanarlo. Lasciatelo stare, lo conosco, non preoccupatevi, potete andare. 

E Rhodri J, per l'ultima volta, viene a casa mia, dorme nel mio letto, si addormenta accanto a me. La mattina dopo, sono io a buttarlo fuori di casa, lui se ne rende conto, mi sorride e mi dice "E' stato incredibile incontrarti così per caso. Ne sono davvero molto felice. Voglio vederti ancora".

Rhodri J mi ha insegnato mole più cose di tanti idioti con 10 anni di più. 
Ho sofferto per Rhodri J, forse me ne sono anche un po' innamorata, ma ne è comunque valsa la pena.
Rhodri J mi ha insegnato l'arte dell'ascolto, una delle doti più difficili e preziose, in un mondo di chiacchiericci costanti e parole banali buttate costantemente alle ortiche.  

Spero davvero che ti sia lavato i capelli, nel frattempo.




Recap - 2 anni dopo

Sbirciare tra i blog dopo tanto tempo é un po' come entrare in casa di qualcuno con la porta socchiusa senza chiedere permesso. Cerco di farlo in punta di piedi, chiedendo quasi scusa, e mi viene il magone a pensare a quante cose abbiamo condiviso negli anni, in tanti casi senza nemmeno esserci mai incontrate personalmente.
Il mio italiano é peggiorato, soprattutto quello scritto, e me ne scuso, ma la grammatica inglese, essenziale e scialba, mi rende difficile continuare a giocare con le parole, costruire sentenze complesse di oggettive e soggettive, finali e consecutive.
La verità è che non sono felice. Non ancora. Ho cambiato lavoro, 3 case, una dozzina di uomini e anche amicizie visto che i miei punti di riferimento hanno lasciato Londra per dirigersi altrove nel mondo.
Io sono sempre qui e sono in un momento difficile perchè mi sento inchiodata ad una situazione in cui mi sono infilata da sola, e il bello è che non ho nessuna catena che mi lega se non quella della paura del cambiamento, del rischio, dell'ignoto.
Ho provato a costruire relazioni affettive con uomini sbagliati che mi costano molta terapia e scarsi risultanti, un' autostima ai minimi storici e mal di pancia considerevoli.
Le cose belle sono state un viaggio per l'Asia che mi ha aperto un mondo, la consapevolezza dell' importanza e della forza delle mie radici, la musica che suona costantemente nel mio ipod, l'attaccamento morboso a migliaia di km di distanza ai miei amici e alla mia famiglia, la convinzione di essere una persona migliore di tutte quelle che mi hanno fatto del male e buttato il mio cuore alle ortiche.
Sono convinta di meritare di più di quello che ho adesso, sono anche convinta che dovrei imparare ad apprezzare di più quello che ho e pensare di meno a quello che non ho.
So che devo prendere il coraggio a quattro mani, prendere la mia vita e ribaltarla come un materasso, so che ce la posso fare ma devo studiare una strategia adeguata prima di fare mosse avventate. So che dopo aver cambiato un po' -un bel po'- di cose mi sentirò molto meglio per averlo fatto e ringrazierò la me stessa di oggi per aver sconfitto la paura. 
So anche che era da tanto che avevo voglia di tornare a scrivere ed oggi aver compiuto questo piccolo passo mi fa sentire meglio. Ho cose da raccontare, tante, e non tutte pesanti come questo post, e non vedo l'ora di poterle condividere con voi.
Rieccomi qui.



venerdì 22 febbraio 2013

La linea di confine

Da una parte ci sono io con la mia maglietta rossa. C'è il ristorante vuoto di prima mattina e c'è lui nella cucina a vista a preparare gli ingredienti per la giornata. 
Lui che ho visto tutti i giorni ogni giorno da settembre in poi. 
L'ho voluto così tanto che mi sono bastate due pinte di birra per dichiararglielo a bassa voce, all'orecchio, per poterlo strappare al party e alla gente inutile intorno e rinchiuderlo nella mia stanza e averlo per me soltanto. 

Poi lui è tornato ad essere il mio figherrimo collega fidanzato. Con una complicità aggiuntiva che ci fa parlare di tutto tranne di quello che vorrei dirgli davvero mentre siamo da soli, una complicità che è fatta di sguardi, sorrisi, cose non dette. Che non ci permette nemmeno di guardarci negli occhi quando siamo con gli altri. 
Mi fa girare la testa da quanto lo voglio. E' solo infatuazione forse, del resto è facile infatuarsi di uno così. Ma è un'infatuazione che mi fa pensare a lui continuamente. 

Che non mi permette di essere felice in un momento come questo. Quello dove sto per attraversare la linea di confine. Vi ricordate la doppia vita, di giorno e di sera? 
Non ci sarà più nessuno sdoppiamento. Varco il confine, passo dalla parte di chi a tavola viene servito.
Ho trovato un lavoro. Uno vero. Ufficio, colleghi, 9-18, nessun turno, nessuna maglietta, nessun "mangio a scrocco". 
Niente più lui. 
Niente lui che mi sorride dal bancone, con la camicia da chef già sporca di salsa al curry quando io arrivo assonnata nella sala. Nessun incontro casuale nello spogliatoio, lui che guarda nel mio armadietto e che mi dice che sono una casinista, io che guardo le sue spalle larghe e gli occhi azzurro cielo.
Mi mancherà da morire. Mi mancherà da fare male. 
Che ora arriva il momento dimissioni-preavviso-tanti saluti. 
Ho firmato oggi il nuovo contratto, al ristorante non sa ancora niente nessuno.

Sono così confusa. Sono felice, orgogliosa di me stessa, ho mangiato merda e sono stata ripagata. Varco la linea di confine che separa quella che sono da quella che vorrei essere perchè adesso le due "me" coincideranno. E non posso che ringraziare me stessa per questo. Nessuna raccomandazione, nessun compromesso, nessun favore. Solo tenacia, resistenza, costanza.

Sono felice di lasciare il mio lavoro da maglietta rossa. Sono davvero felice di lasciare un lavoro che fa schifo. Ma quel lavoro mi ha portato lui. E lui non ci sarà più. E io ho solo due settimane per abituarmi all'idea.

Ciao amore ciao.



lunedì 18 febbraio 2013

La botta di vita

Che a volte ci vuole proprio.

Che ci sono quei giorni in cui svegliandosi, uno si sente già che sarà una giornata sì.

Che le cose a volte non piovono così dal cielo, e quindi bisogna anche un po' farle accadere.
E allora a un party multiculturale, in cui agli ospiti venivano forniti cioccolata, alcool e preservativi a volontà, ho deciso che non avrei preso un taxi di rientro a casa da sola. 

E alla fine mi sono svegliata la domenica mattina in un appartamento luminoso e ben arredato con un gattino di 6 mesi che mi faceva le fusa mentre il suo padrone era sotto la doccia. 

Come ci siamo trovati ci siamo lasciati.

Ma il sesso è sempre una gran bella cosa. E ci voleva da matti.



giovedì 14 febbraio 2013

Amori

Si avvicina San Valentino e anche se lo passerò da sola come ogni benedetto anno voglio parlare di amore. Quello che mi manca. Quello che avrei bisogno di dare a qualcuno, altrimenti rischio di implodere. 
Quest'anno però non voglio essere cinica, e per questo San Valentino dichiarerò (qui soltanto, sia ben chiaro), l'amore che nutro, a modo mio, un po' superficiale un po' idealizzato, per chi ha popolato la mia testa e i miei pensieri negli ultimi mesi.
PRIMO CLASSIFICATO - stazionario. Il baby australiano. Sul suo profilo fb ci sono foto di lui durante vari festival estivi. Con quei capelli giusti, la maglietta bianca, i jeans del chissenefrega, i rayban neri è l'uomo più cool che abbia mai portato nella mia stanza. Sa tutto di musica, ha girato tutta l'Europa, ha avuto mille amanti in questo emisfero, ma si ricorda di me. E' gentile, magro, sotto i rayban nasconde due occhi verdi made in Melbourne che mi hanno rubato cuore e ormoni. Tra poco scadrà il suo visto, e il baby torna nella patria aussie. Mi manca già.

SECONDO CLASSIFICATO- collega fidanzato. Fresco di ferie, torna che è più figo di prima. Finalmente ha deciso di togliersi quell'impietoso taglio di capelli e a quanto pare sembra aver fatto un salto in uno dei saloni più all'avanguardia di Londra. Quindi ora, oltre ad essere spropositatamente bello, ha anche un taglio da copertina e poi ha deciso di farsi crescere quella barbetta lì che indurisce i tratti angelici e risalta gli occhi blu cobalto. Certe visioni di prima mattina mi fanno rischiare la sindrome di Stendhal. 
Adesso è diventato più restio a dare confidenza, ci sono rimasta male poi gli ho detto chiaro in faccia che se vuole una cosa da me (non "quella" cosa, ma un caffè, un bicchiere, dell'olio piccante), è bene che me lo chieda direttamente invece di farlo per interposta persona. Mi ha detto "sorry", mi ha sorriso e io sono morta.

TERZO CLASSIFICATO- new entry. Dj inglese. Sì, ma solo come secondo lavoro, di giorno ne ha uno serio. Nel senso che la mattina si alza e va in ufficio. (non come il musicista matto che è troppo artista per potersi svegliare prima delle 4 del pomeriggio). Mi fa ridere, mi parla un sacco dei suoi gatti, è atletico, alto, ha gli occhi azzurri e un ciuffo anni 80 inguardabile, uno stile molto british, parla uno slang incomprensibile ed è (ahia), appena uscito da una relazione. Siamo in fase di studio, non è successo niente di niente. Ci scriviamo tantissimo. Ha una follia fanciullesca e allegra. Si è sbilanciato appena appena ieri. Da verificare.

FUORI CLASSIFICA Perchè decisamente innarrivabile. Sam Riley. Il MIO uomo del momento. Nel caso non sapeste chi sia, googlate. Non ve ne pentirete.

Nel caso ve lo stiate chiedendo, sì, l'ormonite è acuta e si fa sentire, ma per il momento me la tengo perchè sono troppo fragile e impaurita da qualsiasi approccio con l'altro sesso. E' il "vorrei ma non posso" che regna sovrano.

Avrei da dire tante cose. Ma non vi tedierò oltre, per stasera.

Tanti Valentini per voi!

giovedì 7 febbraio 2013

Il solito casino

Ho fatto un po' di cazzate ultimamente.
Cose confuse, uomini a caso, lavoro chissenefrega, ciucche tristi passate sulle scale di qualche pub a disperarmi per cose che sono nuove ma che alla fine sono sempre le stesse.
Poca musica, meno del solito.
Molto lui. Il collega fidanzato. Che grazieaddio questa settimana è in vacanza, almeno non devo farci i conti tutti i giorni. E' di un bello disarmante. Continua ad essere gentile con me, flirta ma non tocca. 
Lo odio. Perchè mi sale l'ansia abbandonica praticamente ogni giorno dal lunedì al venerdì. Così ho smesso anche di salutarlo. Ma lui niente, continua ad essere gentile. Maledetto te, i tuoi occhi azzuri, il bicipite che fa capolino dalla camicia, il sorriso stupendo, la barbetta accennata.

Poi ci sono gli amici che anche se sono presenti fisicamente non lo sono mentalmente. E qualcuno non è presente in nessuno dei due sensi. Io ho degli amici stupendi, ma in questo momento sono tutti assorbiti dalle loro vite (incasinate, per lo più), e chiedono-chiedono-chiedono, a me che non ho niente da dare, ma che avrei bisogno di ricevere e non ricevo perchè probabilmente ora nemmeno loro hanno niente da dare.

Mi sono trovata a fare cose fighissime e altre sfigatissime nel corso della stessa sera.
Tipo andare ad un party molto selezionato ed esclusivo e tornare a casa e aspettare il malefico musicista per un'ora a casa (di notte). E lui non si è nemmeno presentato.

Poi ho fatto anche altre cose, ma ho un po' di remore a raccontarle.
Magari tra un po'. Magari se l'ansia se ne andasse, se la smettessi di raccontare palle all'universo, se trovassi un lavoro decente, se fossi un'altra me, beh, ecco, allora forse starei meglio.

Macchepalle.



sabato 19 gennaio 2013

Mr jackal and Mr hyde

Di giorno.

Di giorno (e a volte anche di sera), faccio la cameriera. I clienti sono i "cravattoni" della City, quelli con la giacca e le scarpe lucide che vanno sempre di fretta, che hanno sempre un cliente da incontrare o un treno da prendere. E poi ci sono le signorine, quelle con la camicetta bon-ton, i tacchi alti e le ballerine nella borsa.
Io invece indosso la maglietta rossa antiestetica che la compagnia ci impone, con la stupida spilla con il nominativo stampato, come a voler dire "ciao, siamo amici, dimmi tutto quello che ti serve, io sono qui per questo".
Di questo lavoro ho bisogno. Perchè al momento mi permette di pagarmi affitto, bollette, sopravvivenza e mezzi. Mi ha anche permesso di iscrivermi a un corso in una università londinese che potrebbe aprirmi le porte al mio lavoro "vero". 
Mi ha dato l'opportunità di poter studiare per un esame senza dover chiedere soldi in prestito a nessuno
Ma i clienti del ristorante tutto questo lo ignorano. Per loro sono solo una cameriera con cui sforzarsi di essere gentili nel migliore dei casi, o da utilizzare come capro espiatorio per dar sfogo alle proprie frustazioni, nel caso in cui il piatto non arrivi nei 15 minuti previsti dalla policy aziendale, se il riso non è abbastanza bollito o se invece lo è fin troppo, se il succo sa di sedano, se la salsa al curry non è abbastanza salata. (Che, detto tra noi, questi inglesi lamentoni che si improvvisano esperti di cucina fanno anche abbastanza ridere. Cresci a gelatina, fritto di qualsiasi cosa, pasta scotta con pollo e ketchup, e vieni a fare il pidocchioso sulla dose di brodo che dovrebbe esserci secondo te nella zuppa? No, non sei credibile).
Comunque in questo lavoro io non esisto. Non mi vedono. Sono solo quella da chiamare per avere velocemente il conto per poter tornare al volo al loro importantissimo business. E mi chiamano per nome, perchè è scritto sulla stupida spilla. Lasciano la mancia con svogliatezza, senza sapere che per me quei pochi spiccioli sono oro, perchè se dovessi vivere dello stipendio, beh, morirei di fame.

La sera.

La sera, a volte, arrivo a casa, mi sciolgo finalmente i capelli, indosso lo smalto, mi spoglio della stupida maglietta rossa e dell'orribile spilla. Mi vesto come e meglio delle signorine snob. Un tacco alto, una gonna bon-ton e una camicia in seta. Profumo, rossetto, borsetta.
Torno nella City. Sono sempre io, ma sono completamente diversa.
Entro in un famoso locale dove si riversano tutti, dopo una giornata dedicata alle loro importantissime attività, per i loro drinks del dopolavoro. Magia, questa volta mi vedono eccome.
Mi guardano bene, si avvicinano anche, dicono cose inutili, mi offrono da bere.
Ogni sera c'è una storia diversa da raccontare. "Cosa fai a Londra?" è una domanda che può avere le risposte più eclettiche, basta che non siano la verità.
Immagino già la faccia che farebbero "Lavoro a due passi da qui". "Ah sì, e in quale banca?". "No, non è una banca. Indosso una stupida maglietta, la coda di cavallo, un paio di all stars e cammino correndo 10km al giorno, tanto che la notte ho dei dolori talmente forti alle gambe che non mi fanno nemmeno dormire".
Sono stata educata a rispettare tutti i lavori, anche quelli più umili. Non mi vergogno del mio lavoro. Ma il mio lavoro non mi rispecchia. Non sono io. Non mi appartiene. 

Così mi trovo incastrata in questa doppia dimensione. Una mezza scappata di casa di giorno, una sorta di meretrice la sera. Bugiarda sempre. Di giorno, perchè faccio finta di essere qualcosa che non sono. Di sera, perchè racconto un sacco di stronzate.

Vorrei fare qualcosa che mi compete. Vorrei poter essere me stessa. 

Di giorno. E di sera.

Vorrei smettere di dire bugie. Ai colleghi, ai cravattoni, a me stessa.
Sono "maglietta rossa" di giorno, "miss ecopelliccia" di sera. Nel mezzo, ci sono io. Che ormai mi sento completamente persa,  annegata nella bottiglia di Veuve Cliquot che il tizio di turno offre prima di chiudere la serata.
Non so più dove sono andata a finire.